Massima di vita

Il giudizio e le recensioni qui riportate, pur nel tentativo di essere obiettivi, risentono del gusto e dell'esperienza di chi scrive.
Judgment and reviews given here, while trying to be objective, are affected by the taste and experience of the writer.


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Saturday, November 4, 2017

Year Of The Cobra - Burn Your Dead (2017)




















2017 - Magnetic Eye

         Seattle (WA), Year Of The Cobra = Amy: Vocals + Bass + Keys, Jon: Drums, secondo ep, usciti uno prima e l'altro dopo il full-lenght '...In the Shadows Below' del 2016. 
        Piaccia o no gli Year Of The Cobra sono, a oggi, uno dei pochissimi gruppi che riescono ad offrire qualcosa di personale nel panorama musicale undergound, americano e non. 
Il primo pezzo, Cold, mi ricorda qualcoa de l'approccio dei loro connazionali Earth conditi da la voce di Sue che li accosta a quei tratti che usualmente vengono collocati vicini al Doom, ma senza esserlo.         
        Elementi prog mi sorprendono col piano in sottofondo, azzeccato alla fine il ritorno sul giro iniziale (mi viene in mente un gruppo italiano che faceva così...non riesco a ricordare il nome, ho anche il loro CD...vabbé...non si può avere tutto nella vita)...comunque bravi, registrato bene, bella produzione e canzone di carattere. 
         The Descent (i Bartók erano il gruppo italiano che quel piano mi ha richiamato alla mente) è un brano più rilassato, quasi pop, il basso cala leggermente di cattiveria, la voce è più suadente. Manco a dirlo, le varie etichette Stoner Rock e Stoner Metal non c'entrano nulla...torna ancora il piano a 3/4 del pezzo!  
       Burn Your Dead inizia tellurico, voce 'dentro', cori all'americana anni 80, beat veloce ed ossessivo, basso distorto e incazzato, mid-tempo a metà del pezzo e ritorno. 
        The Howl esalta il basso iniziale con filtro synth a sinistra, vari cambi di tempo, poi la voce ritorna suadente. Immaginate due scalmanati che suonano mentre la tipa canticchia melliflue melodie, And They Sang... scorre via con la solita grinta ed i soliti intermezzi doomish/prog. 
       Il disco non è eccezionale, non ti coinvolge sino in fondo, ma è certamente godibile, e sicuramente non stiamo ascoltando le solite pugnette.

Per me l'ep The Black Sun rimane il migliore della loro produzione.

In ogni caso, direi disco da accattarsi.

1. Cold 06:23
2. The Descent 04:30
3. Burn Your Dead 04:00
4. The Howl 06:45
5. And They Sang... 03:52

Friday, November 3, 2017

Otehi - Garden Of God (2017)




















2017 - Hellbones Records

         I romani Otehi, vale a dire Domenico "Mastino" Canino (guitar, vocals), Maciej R. "Wildhand" Mikolajczyk (bass, vocals), Corrado "Corraider" Battistoni (drums) giungono al terzo full-lenght dopo Noisy Spirit del 2011 e Dead Chants and Forbidden Melodies del 2014.
         CD composto da 6 pezzi, non ho ancora capito se autoprodotto, ed agitano i loro strumenti in un contesto asseritamente: alternative rock, desert rock, doom metal, experimental rock, heavy rock, psichedelic, punk rock, stoner, metal e heavy psych. 
         Sarà un po' strano? Boh...Ascolto i pezzi. 
        Mentre guardo la cover, direi piuttosto scadente, il lettore suona Sabbath, ovvero la solita space intro prima di Naked God. 
        Naked God rimanda immediatamente a gardenia dei Kyuss, per cui l'ascoltatore pensa 'questo è stoner'. 
       Il mix fatto coi piedi non aiuta ma il pezzo non è male, sembra un gruppo di bambini che giocano in sala prove, ma immaginando un lavoro più accurato, non è da buttare. In ogni caso, sostenere dieci minuti di canzone non è cosa proprio semplice. 
       Stanco delle scordature e della qualità della registrazione passo al brano successivo. 
     Effettivamente comprendo adesso l'etichetta 'alternative' prima trovata sul loro Bandcamp, il livello è quello già visto. Scorro anche gli altri pezzi ma la storia non cambia, le song in sé non sono orribili, ma l'esecuzione e la registrazione sono veramente sotto la media.

Un disco che non rende giustizia alle potenzialità della band, niente di sconvolgente, ma ascoltate e valutate.


Wednesday, November 1, 2017

Kadavar - Rough Times (2017)




















2017 - Nuclear Blast

         Premetto che è mia opinine che i Kadavar siano uno dei gruppi più sopravvalutati del panorama europeo - e non solo, limitatamente al genere di riferimento, ovvio. 
         No dico...incidono per la Nuclear Blast, mica catzi...eppure suonano esattamente come negli anni 70 ma non ne hanno affatto la padronanza tecnica, anzi...basta ascoltare la prima frase della chitarra di Rough Times. (Hanno anche il look anni 70, vestiti prima affittati poi comprati grazie ad un progetto finanziato in Germania, mica come qui da noi...). In ogni caso, questo disco è suonato meglio degli altri, e ho detto tutto. 
         E' il suono d'insieme che inganna, meditate gente, meditate...non a caso evitano i soli come la peste. Ovviamente, manco a dirlo, non ne hanno lo stesso slancio creativo. 
Into the Wormhole strizza anche l'occhio al pop, in più di un passaggio, ma va bene così. Skeleton Blues oltre al pop e alla chitarra scordata non ha neanche un riff accattivante, (tralascio volutamente i commenti sul 'solo' di chitarra). 
         Die Baby Die non ha veramente nulla di particolare.
         Smetto di raccontarvelo.

        Mi viene in mente, anzi non mi ricordo, un gruppo di Torino che anni addietro aveva publicato un album, praticamente rimasto inascoltato, che è 1457 volte meglio di questo. Avevano un batterista pazzesco...non riesco a ricordare il nome della band...catz..!!! 
       Ah si si, i Grand Sound Heroes! Il migliore batterista italiano mai visto con i miei occhi e ascoltato con le mie orecchie da quando giro per concerti rock. Ecco. 

Il disco non fa vomitare, non c'è nulla di brutto, ma ascoltarlo o meno  è praticamente la stessa cosa.



1 Rough Times
2 Into the Wormhole
3 Skeleton Blues
4 Die Baby Die
5 Vampires
6 Tribulation Nation
7 Words of Evil
8 The Lost Child
9 You Found the Best in Me
10 A l'ombre du temps


Tuesday, October 31, 2017

Mythic Sunship - Land Between Rivers (2017)




















2017 - El paraiso Records

         I danesi Mythic Sunship, vale a dire F. E. Denning (drums), Emil Thorenfeldt (guitar), Kasper Stougaard Andersen (guitar), Rasmus Cleve Christensen (bass), incidono per la ottima etichetta El Paraiso Records. 
         Questo è il loro quinto full-lenght dal 2010, non male. Stavolta però la El Paraiso toppa, ci aveva abituato troppo bene. 
         Accreditati come l'ennesima Psychedelic / Jam band, i Mythic Sunship con Land Between Rivers ci offrono immediatamente una breve descrizione di chi siano. Approccio strumentale da erba fumata bene ma suonata un po' meno. 
         Bastano le prime battute di Nishapur per comprendere che, tra scordature varie di basso e chitarra, suoni malmessi e tecnica troppo incerta non andremo lontano. 
         Mi chiedo in questo momento perché se sei straniero e suoni così sei bravo, ma se un gruppo italiano si accinge ad una cosa del genere vengono subito etichettati come falliti...di gruppi così in Italia ce ne sono. O per meglio dire, in Italia ci sono jam band che sono molto meglio di costoro, che pure incidono per la El Paraiso, mica una cosetta così. 

         Insomma, non è che il disco faccia schifo, a tratti è anche godibile, ma è veramente troppo poco perché gli si possa tributare una qualche qualità di rilievo.

Disco che può essere tranquillamente tralasciato.


1 Nishapur 15:30
2 High Tide 13:15
3 Silt 6:19

Colour Haze - In Her Garden (2017)




















2017 - Elektrohasch

         Diciamocelo con molta franchezza, piaccia o no i Colour Haze sono stati uno dei pochissimi gruppi ad offrire qualcosa di personale nell'ambito del genere che frequentano e che hanno  frequentato. Poi se piacciano o no è altro affare.

         Se non erro dovrebbe essere il loro dodicesimo full-lenght, mica una barzelletta...
         A fronte di tanto curriculum chissà cosa ci aspetterebbe da un nuovo (marzo 2017) album. Ebbene non aspettatevi nulla di che, anzi...(purtroppo). 
         Che ai Colour Haze debba essere tributata una particolare riconoscenza in questo perpetrare di cloni è cosa che solo l'incompetente potrebbe obiettare, ma dopo tanti album credo sia anche fisiologico un calo creativo, basti pensare ai gruppi più famosi del rock in genere. 
         Fatto sta che i pezzi di In Her Garden scorrono via senza sussulti, senza acme, pur nel loro segno distintivo marchiato Stefan Koglek. 
         Che dire...dispiace ma possiamo solo attendere fiduciosi che la prossima iscita torni ai fasti di  Ewige Blumenkraft (2001), Los Sounds de Krauts (2003), Colour Haze (2004), Tempel (2006), All  (2008)...ma la vedo dura.
Disco che si può tranquillamente tralasciare.

2017 - Elektrohasch

1 Into Her Garden 1:07
2 Black Lilly 6:48
3 Magnolia 5:59
4 Arbores 4:02
5 sdg 1:02
6 Lavatera 5:58
7 Islands 11:05
8 sdg II 1:49
9 Labyrinthe
10 Lotus 7:06
11 sdg III 1:55
12 Skydancer 6:22
13 Skydance 10:23

Tuna de Tierra - Tuna de Tierra (2017)



















2017 - Argonauta Records

         I napoletani Tuna de Tierra, vale a dire Alessio De Cicco: guitar, vocals, Luciano Mirra: bass guitar e Jonathan Maurano: drums, avevano pubblicato un ep nel 2015: 'EPisode I: Pilot'. 
       Avevo ascoltato con interesse quall'ep, mi ricordava qualcosa dei Colour Haze ma aveva qualcosa  di personale. Ricordo che infatti mi era piaciuto, ero incuriosito degli sviluppi della band insomma. 
          Pubblicato in CD per l'italiana Argonauta Records, l'omonimo Tuna de Tierra - purtroppo - non sortisce lo stesso effetto, non trasmette l'idea di un miglioramento. 
         Lo stile nell'insieme rimane più o meno quello ma la produzione invece di progredire regredisce. Una registrazione poco più che casaliga penalizza il disco che rimane godibile, se gradite certe atmosfere da soft psych rock. 
         Rilassate song condite da momenti più hard ma senza esagerare, mood stabile nello scorrere delle composizioni.
         Il disco non fa schifo, si può ascoltare senza sobbalzi, ma perde qualcosa rispetto all'ep del 2015.
         In ogni caso, tra tutti i pezzi preferisco Mountain, ma è solo una questione di gusto personale.


         Mi auguro che in futuro i Tuna de Tierra possano migliorare sicuramente dal punto di vista della produzione, per l'aspetto creativo ho maggiori speranze.  Probabilmente rimango influenzato dal ricordo del loro ep.

         Sulla base del non lontanissimo primo loro ep, secondo me hanno le carte in regola per diventare uno dei gruppi più interessanti del panorama italiano.


Disco da ascoltare...io lo comprerei pure!

1. Slow Burn 02:45   
2. Morning Demon 08:09
3. Out of Time 10:08
4. Long Sabbath's Day 02:07
5. Raise of the Lights 07:09
6. Mountain 07:22
7. Laguna 09:26

Sunday, October 29, 2017

Dead Witches - Ouija (2017)




















2017 - Heavy Psych

         Per quale motivo i sigg. Virginia Monti (vocals), Carl Geary (bass), Mark Greening (drums) e Greg Elk (guitar, -2016) abbiano pubblicato un disco del genere mi è completamente ignoto. 
         Posto che non è la prima volta che l'italiana Heavy Psych Records pubblica porcate del genere, mi domando se ciò dipenda dalla totale incompetenza del produttore o da qualche mazzetta corrisposta...o chessò da prestazioni sessuali di incerta natura...
         Virginia Monti sarebbe la vocalist dei fiorentini Psychedelic Witchcraft i quali avevano già un anno addietro avuto modo di mettere in luce la loro quasi totale incompetenza, ma il disco in questione forse è anche peggio. 
         Non c'è una cosa - dico una - che sia fatta - non dico ad arte - ma almeno in modo decente...   Boh...disco Doom?! Ma neanche potrebbe parlarsi di 'disco' a stretto vedere. 
         Sarei curioso di sapere quante copie ne sono state vendute, mica per niente, per comprendere, da un lato, la forza del marketing, dall'altro l'incompetenza generale...


Disco da dimenticare (in fretta).



A1 Intro 2:27
A2 Dead 6:05
A3 Drawing Down the Moon 5:54
B1 Ouija 5:04
B2 Mind Funeral 5:00
B3 Sometimes Dead Is Better 7:35

Devil Electric - Devil Electric (2017)




















2017 - Kozmik Artifactz

         I Devil Electric vengono da Melbourne, Australia e suonano (loro dicono un rock and roll) una sorta di Heavy Rock sabbathiano. 
         La prima song del debutto omonimo deve molto ai Black Sabbath, ma non costituisce un problema, né per loro, né per chi ascolta. 
         Pierina O'Brien [Pierina !!??] (vocals), Christos Athanasias (guitar), Tom Hulse (bass), Mark Van De Beek (drums) navigano tra un qualcosa di sentito - ovviamente - ma anche qualcosa di personale.

         Il suono della chitarra è molto simile al fuzz di un tempo, voglio dire, il disco non è esasperato nei suoni e quindi si capisce un po' più della media (ormai) cosa facciano i musicanti...

         'Thrilling Vintage-Doom meets Modern-Rock' dicono giustamente quelli di Rolling Stone, qualcuno parla di Stoner Rock (Stoner Rock !??! Haha! Ci risiamo...). Certo...se non fossero esistiti Black Sabbath...

         Un disco piacevole, non un capolavoro, che potete tranquillamente acquistare senza aspettarvi chissà cosa.

Disco buono, l'acquisto dipende dal gusto.

1 Monologue (Where You Once Walked) 5:26
2 Shadowman 2:38
3 Lady Velvet 3:49
4 Acidic Fire 5:07
5 Monolith 1:44
6 The Dove & the Serpent 5:34
7 The Sacred Machine 3:14
8 Lilith 2:15
9 Hypnotica 6:26

Saturday, October 28, 2017

Caronte - Yoni (2017)




















2017- Van Records

         Da Parma nomi altisonanti:
Dorian Bones (vocals), Tony Bones (guitar, backing vocals), Henry Bones (bass), Mike De Chirico (drums), terzo full-kenght 'Yoni'. 
         Bene. 
         Normalmente, le riviste ed i blog (non tutti) prendono gli sghei per fare recensioni, se scrivi una  recensione brutta, l'etichetta gli sghei non te li dà più. La rivista chiude. Io non prendo sghei da  nessuno, e scrivo quel che cazzo voglio. Semplice. 
        Yoni è un tentativo maldestro di un Doom (Doom Metal? Boh...) trito e ritrito, registrato a cazzo, ovvio e senza idee, suonato approssimativamente e prodotto quasi peggio. E potrei continuare. Soprassiedo sui soli di chitarra, sul mix e su qualsiasi altra cosa vi venga in mente. 
         Passi il gruppo, ma come cazzo fa una etichetta a pubblicare una cosa del genere ??!!!

Disco da dimenticare.

1 Abraxas
2 Ecstasy of Hecate
3 Promethean Cult
4 Shamanic Meditation of the Bright Star
5 TOTEM
6 The Moonchild
7 V.I.T.R.I.O.L


Monlord - Rust (2017)




















2017 - RidingEasy

         Göteborg, Sweden 2017: Thomas Jäger (guitar, vocals), Esben Willems (drums), Mika Häkki (bass). Sono i Monolord, 'Rust' è il terzo full lenght del terzetto doom, doom metal? 
         Boh...Doom e qualcosa insomma, tanto con queste etichette facciamo solo confusione, basta guardare in giro le recensioni di uno stesso disco, 14 etichette messe a caso, il più delle volte, e almeno 7/8 opinioni di genere differente. 
         Suono roccioso, al limite dello sludge, voce non straziata, liscia, melodica. 
         Disco super compresso, i piatti della batteria sembrano infatti irreali. 
         Che cosa ha di particolare questo disco? Nulla. A metà del secondo pezzo hai già imparato tutto il disco. 
         Insomma, il lato pop del (doom...doom?) metal.


Disco che può essere tranquillamente ignorato.



1 Where Death Meets the Sea
2 Dear Lucifer
3 Rust
4 Wormland
5 Forgotten Lands
6 At Niceae