Raramente capita di recensire album di tale caratura. Gli inglesi Warning si formano nel 1994 in Harlow, Essex e purtroppo si sciolgono nel gennaio 2009. Grave perdita. La voce di Patrick Walker è la chiave del tutto, un lungo vocalizzo che evoca ambientazioni dantesche, doom, anzi Doom...DOOM !!! Cinque canzoni che non vi consiglio se avete inclinazioni depressive, anche passeggere. Lento, distorto, monolitico, monosensazionale, sensazionale. Riff spettrali, senza speranza, masochisti, che trasmettono sensazioni ancestrali, introspettive, oscure, che ti fanno riflettere, ti suggeriscono interrogativi trascendenti. Non v'è pausa, non v'è pace, il tracollo dell'essere. Credo che qualsiasi parola sminuisca il valore dell'album. I Warning sono: Stuart Springthorpe (drums, 1994-2008), John Sellings (bass, 1994-97), Wayne Taylor (bass, 1997-98), Marcus Hatfield (bass), Christian Leitch (drums). I warning sono (erano) una band da non ignorare. Non perdeteli. Una delle pochissime release in grado di farmi venire i brividi negli ultimi anni.
It's really so rare to write a review of such albums. The British Warning were formed in 1994 in Harlow, Essex and unfortunately broke up in January 2009. Great loss. Patrick Walker's voice is the key to everything, a long vocalization reminiscent of Dante's settings, doom, or better still ... Doom...DOOOM! Five songs I would not advise you if you have depressive tendencies, even fleeting. Slow, distorted, monolithic, mono-sensational, sensational. Spectral riffs, hopeless, masochists, which transmit ancestral sensations, introspective, dark, that make you think, that suggest transcendent questions. There is no pause, there is no peace, the being collapse. I think any word demeans the value of the album. The Warnings are: Stuart Springthorpe (drums, 1994-2008), John Sellings (bass, 1994-97), Wayne Taylor (bass, 1997-98), Marcus Hatfield (bass), Chris Leitch (drums). The warnings are (were) a band not to be ignored. Do not miss it. One of the few releases that can make me shudder in recent years.
Troubled Horse - Bring My Horses Home / Shirleen (7" Vinyl)
Crusher Records CR 011
Sarà perché Jens Henriksson è stato fino al 2006 il batterista degli svedesi Witchcraft, e Ola Henriksson è ancora il bassista del Witchcraft, ma questo piacevolissimo ep ricorda maledettamente l'ensemble di Örebro. Prodotto dalla Crusher Records su vinile 7", accattatevelo perché ne vale la pena. 2 pezzi, il primo veramente in stile Witchcraft ed il secondo molto piacevole, con un accenno zeppeliniano nella chitarra. Speriamo tutti in un full-lenght a breve e di pari valore (almeno) !
Is it because Jens Henriksson was until 2006 the Swedish drummer of the Witchcraft, and Ola Henriksson is still the bassman from the Witchcraft, the reason why this ep reminds darn delightful the ensemble of Örebro. Produced by Crusher Records on 7 "vinyl, get it asap because it's worth it. 2 songs, the first really in style Witchcraft and the second very pleasant, with hint of Zeppelin at guitar. We all hope in a full-length short and of equal value (at least)!
Theo Mindell (vocals, percussion), Mark Thomas Baker (guitar, Moog), Keith Nickel (bass), Carter Kennedy (drums) sono di S. Francisco e suonano doom.
Vi piace il primo disco dei Black sabbath ?
Allora acquistate questo ep, ed anche il prossimo full-lenght 'Capricorn' che uscirà a breve. Tanto basta.
Theo Mindell (vocals, percussion), Mark Thomas Baker (guitar, Moog), Keith Nickel (bass), Carter Kennedy (drums) are from S. Francisco and play doom. Do you like the first from Black sabbath ? So, buy this ep and even the forthcoming full-lenght 'Capricorn'. That's all.
Tracklist
1 Into the Sun 2 Eastern Woman 3 Son of Misery 4 No One Makes a Sound
Gli Zoroaster sono un trio Georgiano (Atlanta - USA) con chiare contaminazioni italiane, vista la presenza dei sig.ri Fiore. Al loro quarto full-lenght ci propinano un platter di nove pezzi in stile metal e stilemi a non finire. Qualche accenno alla psichedelia (anche anni '80 per ciò che riguarda le voci ed il rullante), qualcosa dei Monster Magnet, sempre a mezzo di riff stantii come il cacio marcetto. Peraltro, l'ambientazione scelta in fase di mix, appesantisce il tutto, rendendolo, troppo spesso, poco chiaro. Già al terzo brano si intuisce che in questo disco ci sarà ben poco da scoprire... Trident, il quarto brano, tradisce ancora di più la provenienza statunitense dei Zoroaster che si producono in un ennesimo fluttuare di suoni, giri, e soli di chitarra (con la batteria veramente 'davanti') che stancano ben presto l'ascoltatore non più ventenne. Firewater, per ora il brano più interessante. Buon esercizio di stile kraut-psichedelico. In Old World il discorso proposto fin qui sale un poco di qualità, grazie ad un riff rallentato maggiormente godibile, in stile primi quasi-Monster Magnet. Questa song è ancora più gradevole della precedente. Black Hole è invece un inutile brano simil-trash. Odyssey II è una sorta di ballata acustico-psichedelica senza alti né bassi. Il pezzo che presta il nome all'album è probabilmente il migliore in assoluto. Monster Magnet docet. Ma è troppo poco per la sufficienza. Non pretendete nulla di nuovo dai Zoroaster. Soliti riff, solite soluzioni. La cosa che proprio non ho compreso è la scelta del suono della batteria.
The Zoroaster is a Georgian trio (Atlanta - USA) with clear Italian contaminations, as the presence of Messrs Flower. At their fourth full-length they offer us a platter of nine metal pieces and past never ending characters. Some hint of psychedelia (also as regards the vocals '80 styled and the snare drum), something of Monster Magnet, always by means of stale riffs like rotten cheese. Moreover, the setting chosen during the mix, all the weights, making it all too often unclear. Already from the thrid song one can sense that on this album there will be little to find out ... Trident, the fourth track, reveals even more from the United States of Zoroaster that occur in yet another wave of sound, speed, and guitar solos (with battery really 'before') that the listener no more teen does get tired quickly. Firewater, so far, is the more interesting song. Good exercise in psychedelic kraut-style. In the Old World the so far proposed sense take just a little quality, thanks to a most enjoyable slowed riffs in the first quasi-Monster Magnet style. This song is more enjoyable than the last. Black Hole is a rather pointless song-like trash. Odyssey II is a kind of psychedelic-acoustic ballad with no high nor low. The piece that provides the title track is probably the best. Monster Magnet docet. But it is too few to be enough. Do not expect anything new from Zoroaster. Usual riffs, the usual solutions. The thing that I really do not understand is the choice of drums.
Tracklist
1 D.N.R. 6:25 2 Ancient Ones 3:34 3 Odyssey 5:37 4 Trident 3:38 5 Firewater 4:13 6 Old World 7:03 7 Black Hole 3:48 8 Odyssey II 3:00 9 Matador 7:33
Gli Electric Orange non sono proprio gli ultimi arrivati.Si agitano sui propri strumenti dal lontano 1992 e contano, ad oggi, quasi una ventina di album... Che musica fanno i tedeschi ? Kraut-rock. Infatti i 'ragazzi' di Aachen oscillano tra prog e kraut, come da tradizione. L'album del 2010 - Krautrock From hell - è un disco che va ascoltato più di una volta per essere apprezzato. I primi due brani, 'Bandwurm' e 'Sundos' ci fanno subito capire il terreno kraut calcato dai teutonici. Prog e Kraut. Ma senza picchi particolari. Non tolgono né regalano nulla a quanto detto sin'ora. Dal terzo brano, 'Chorg (Cpt. Gyrok's)', invece, le cose cambiano piacevolmente. Un bel giro di synth ci fa muovere la testa, il groove della batteria, non sempre preciso, è comunque piacevole e coinvolgente, nonostante la sezione ritmica suoni spesso un po' troppo 'indietro'. Bello anche il finale, molto rilassato con chitarre ed echo. 'Hers' è il quarto brano, un incrocio tra sperimentalismo noise e i Motorpsycho seconda maniera. Buono, ma non eccitante, poiché il beat dei 4 brani ascoltati sin'ora è quasi sempre identico a se stesso. 'Kunstkopf' si sviluppa su un mood di synth niente male, che ricorda - da lontano - qualcosa di dark ambient suonato con intenzione analogica. Anche 'Neuronomicon' è un bel pezzo, forse il migliore del disco. Kraut ma anche avanguardia, 25 minuti (dico '25') di delirio sonico...ricordano qualcosa dei Void Generator.
'Wurmloch' è l'ultimo pezzo che non si discosta da quanto esposto in precedenza, 15 minutidi elettrokrautprog senza sosta. In definitiva, un buon disco, ma non eccelle poiché i tentativi di estremizzare la proposta sonica rimangono, da una parte, troppo simili nello scorrere dei pezzi, ed in secondo luogo mancano di un acuto che possa in qualche modo rilassare e/o eccitare, o comunque, mettere in risalto i vari momenti psychedelici, troppo statici nel loro complesso.
The Electric Orange is not just the newcomers. They agitate on their instruments since 1992 and count to date nearly 20 albums ... What kind of music do the Germans? Kraut-rock. Indeedt, the 'boys' from Aachen oscillate between prog and kraut, as usual. The album of 2010 - Krautrock From hell - is a record that should be listened more than once to be appreciated. The first two tracks, 'Bandwurm' and 'Sundos' make us understand the kraut ground trodden by the Teutonic. Kraut and Prog. But no particular peaks. Do not give nor take away anything to what has been said so far. From the third track, 'Chorg (Cpt. Gyrok's)', however, things change nicely. A nice synth riff makes us shake our head, the groove of the drums, not always accurate, it is pleasant and engaging, despite the often rhythmic section sounds a bit 'too' backward '. Lovable the ending too, very relaxed with guitars and echo. 'Hers' is the fourth track, a cross between noise experimentalism and Motorpsycho second manner. Good, but not exciting, as the beat of the 4 tracks played so far is almost identical to himself. 'Kunstkopf' spread over a not bad synth mood, that reminds - from a distance - something of dark ambient played with analog intention. Also 'Neuronomicon' is a beautiful piece, may be the best of the platter. Kraut also avantgarde, 25 minutes (say '25 ') of sonic delirium ... they remember something of the Void Generator. 'Wurmloch' is the last piece that does not differ from those outlined above, 15 minutes of never ending elettrokrautprog. Ultimately, a good record, but does not stand out as attempts to exaggerate the sonic proposal remain, on the one hand, too much similar over scrolling the songs and secondly, lack an acute can somehow relax and/or excite, or however, highlight the various psychedelic moments too static in their entirety.
Quando nel lontano 1992 i Kyuss facevano uscire quello che sarebbe diventato il disco STONER per eccellenza, ovvero 'Blues for the Red Sun', forse pochi avevano immaginato un seguito planetario, pochi realizzarono immediatamente che quel disco sarebbe divenuto seminale.Invece, una pletora di gruppi hanno seguito le orme dei californiani, anche con diverse sfumature e risultati. A distanza di quasi vent'anni (dico 20 anni), da quel magma divenuto fonte di ispirazione per migliaia di giovani si sono succeduti, a dispetto del grande movimento creatosi, ben poche realtà musicali degne di rilievo. I Dzjenghis Khan sono una di queste, mentre il 90% dei così detti 'gruppi stoner' non fanno altro che copie su copie di ciò che è stato già detto e ri-detto dai Blue Cheer in poi. Album registrato in Olanda da Guy Tavares degli Orange Sunshine, si dice, con personali modifiche dei microfoni AKG D112 (generalmente usati per la cassa della batteria). Posto che in tale ambito stilistico è sempre molto difficile trovare e coltivare una propria personalità, elemento che in parte investe anche i qui recensiti ragazzi di Frisco, questo disco merita - a mio giudizio - una attenzione particolare. Appena 'Snake Bite' apre, si capisce immediatamente che siamo tornati almeno 40 anni dietro. La batteria è praticamente spostata tutta sul canale destro come le vecchie registrazioni, le Gibson ultra nasali e ultra distorte da ampli valvolari urlano blues suonati 'al manico' nel rispetto della vera tradizione stoner. 'Wild Cat': un paio di accordi conditi hard blues corredati da un quasi continuo solo di chitarra iper sofferto coprono quasi la voce in stile (del batterista). Uno dei migliori pezzi del disco. Il mood del cd rimane identico a se stesso per tutta la durata delle 10 song caratterizzato sostanzialmente da una esasperazione del lick blues, con chiari riferimenti alle ampie digressioni solistiche degli anni '70. E' chiaro, nulla di nuovo sotto al sole, tranne che per l'interpretazione esasperata comunque in grado di porre i Dzjenghis Khan all'attenzione del grande pubblico di genere. Forse la parte centrale del platter è quella dove la monotematicità del feel raffredda un poco il giudizio finale, ma basta attendere 'Rosie' per tornare in vetta. Un disco fondamentalmente imperniato sui Blue Cheer con apici di tutto rispetto.
When back in 1992, Kyuss made what would become the STONER disc par excellence, ie 'Blues For The Red Sun', perhaps a few had imagined a global following, few immediately realized that the record would become seminal. A plethora of groups have followed in the footsteps of Californians with different shades and results instead. After almost twenty years (say 20 years), from magma that become a source of inspiration for thousands of young people have succeeded, in spite of the great movement created, very few musical realities noteworthy. The Dzjenghis Khan is one of them, while 90% so-called 'stoner' do nothing but copies of copies that has been been said and re-told by Blue Cheer on. Album recorded in Holland by Guy Tavares of Orange Sunshine, they say, with personal changes AKG D112 (usually used for kick drum). Since in this field style is always very difficult to find and cultivate its own personality, something which in part also affects the children of Frisco reviewed here, this album deserves - in my opinion - a special attention. Just 'Snake Bite' opens, you immediately understand that we have returned at least 40 years behind. Drums are almost all moved to the right channel as the old records, Gibson and the ultra muddy and ultra distorted from tube amps screaming blues played 'at the neck' in respect of the real stoner tradition. 'Wild Cat': a couple of chords seasoned hard blues accompanied by an almost continuous and hyper suffered guitar solo nearly cover the styled voice (of the drummer). One of the best track of the disc. The mood of the CD is identical to itself throughout the 10 songs featured essentially by an exasperation of a blues lick, with clear references to the extensive soloistic digressions of the seventies. It 'clear, nothing new under the sun, except for the exaggerated interpretation anyway able to place Khan Dzjenghis to the attention of public of the genre. Perhaps the central part of the platter is where the feel is a bit monothematic and affects the final judgement, but just wait 'Rosie' to return to the top. One disc focuses primarily on Blue Cheer with avery respectable climax.
Tracklist
A1 Snake Bite 3:58 A2 Wildcat 3:32 A3 The Widow 4:11 A4 No Time for Love 2:15 A5 Avenue A 3:38 A6 Against the Wall 2:49 B1 Black Saint 5:34 B2 End of the Line 3:30 B3 Rosie 8:03 B4 Sister Dorien 2:23
I Samothrace non sono greci ma del Kansas. Non so cosa sia esattamente successo in Kansas nel 2008, ma questi tipi sono veramente incazzati. 4 brani. Lenti, pesanti, ipnotici. Doom, black, sludge, post metal. Suoni slabbrati, voce black, riff doom che trapassano le sensazioni dei Neurosis dei Sunn 0))), degli Earth ed anche dei giapponesi Boris. A me personalmente, non è mai piaciuta la voce 'black metal', ma in questa release, ci passo comodamente sopra perché tutto il resto è veramente coinvolgente. Anche se non conosco le dinamiche dei tormenti infantili dei Samothrace è chiaro che non stiamo parlando di ragazzi tranquilli. 'La Llorona', che apre il platter, è caratterizzata da chitarre ultra distorte, con equalizzazione differente tra i canali, con accordature ultra low (probabilmente baritone) ed una voce black che grida i propri dolori a tutta gola. Passaggi post metal con arpeggi di chitarra con rituali intrecci di terze diatoniche classiche del metal. Anche il solo di chitarra che chiude il brano è ben fatto e confacente al pezzo. (Chissà se sia proprio di Renata Castagna l'oriunda che tortura una delle chitarre dei Samothrace...). Se ne vanno così quasi 13 minuti di delirio sludge... Il disco non è proprio 'allegro' e non lo vuole essere. Il secondo brano ce ne dà conferma con il lento intro di chitarre pulite e quasi macabre...dalle quali ti aspetti - da un momento all'altro - un esplosione di rabbia. Dolci delay sottolineano i giochi melodici delle chitarre, fino a che tutto distorce con incastri post metal e voce che interviene alla sua maniera. Cacophony, il terzo pezzo, sembra ricominciare proprio dove il pezzo precedente s'era assopito. Stesso mood. verso il minuto 3:00 un bel tema di chitarra tende a 'rilassare' un poco l'atmosfera. Ed al minuto 7:00 dopo un piccolo intervento 'space' entra un grande riff molto 'sentito', potente, metal, scuro. Una sorta di Black Sabbath rallentati e detuned. Molto bello il gioco di chitarre al minuto 11:00, dopodiché, si ritorna al giro iniziale ed un solo di chitarra impreziosisce il brano, sempre drammatico. 'Cruel Awake', ultimo pezzo, non sposta di una virgola il discorso fin'ora intrapreso dai Samothrace. Passaggi ultra distorti si alternano ad arpeggi puliti, soli di chitarra, ambientazione drammatica di un disagio non altrimenti sublimabile. Un disco che ti spacca il cuore prima delle orecchie. La disperazione introspettiva che ti aggancia in un doom trip di oltre 45 minuti. Un disco estremo, ma con gli attributi. Non mancatelo.
The Samothrace are not Greek but from Kansas. I do not know what exactly happened in Kansas in 2008, but these guys are really angry. 4 tracks. Slow, heavy, hypnotic. Doom, Black, sludge, post metal. Chipped sounds, black voice, doom riffs that pierce the feelings of Neurosis, of Sunn 0))), the Earth and even the Japanese Boris. Personally I've never liked the 'black metal' vocal style, but in this release, could easily pass on because everything else is really exciting. Although I do not know the dynamics of childhood torment of Samothrace is clear that we are not talking about quiet kids. 'La Llorona', which opens the platter is characterized by ultra distorted guitars, with equalization between different channels, with ultra low tuning (probably baritone) and a black voice screaming their pain the whole throat. Post metal referrals with guitar arpeggios interwoven with rituals third diatonic, classic metal. Even the guitar solo that closes the song is well done and appropriate to the piece. (I wonder whether if the italian native Renata Castagna torturing a guitars of Samothrace ...). So, they go almost 13 minutes of sludge delirium ... The disc is not exactly 'happy' and did not want to be. The second track gives us confirmation of that with the slow and clean guitar intro, almost macabre ... from what you expect - any moment - an explosion of anger. Sweet delays emphasize the melodic games of the guitars, until all is distorted joining post metal guitars and a voice that explodes in its own way. Cacophony, the third piece, seems to start right where the previous piece had dozed off. Same mood. About at 3:00 minute a nice guitar theme tends to 'relax' the atmosphere a bit. At the minute 7 after posting a small 'space' lick, comes a very great riffs with a lot of feel, powerful, metal, dark. A sort of Black Sabbath slowed down and detuned. Very nice game guitar retail at 11:00, after which you return to initial round and a guitar solo embellishes the track, always dramatic. 'Cruel Awake', last track, it doesn't change anything, same speech so far undertaken by Samothrace. Ultra distorted passages alternate to clean arpeggios, guitar solos, dramatic setting of a discomfort not otherwise sublimable. A disc that'll break your heart before your ears. Introspective despair that engages you in a doom trip of over 45 minutes. An extreme disk, but with great attributes.
Gli Hypnos 69 sono una band che proviene da Diest in Belgio. Attivi sin dal 1994 hanno pubblicato cinque album e diversi ep, nonché un paio di split con i tedeschi Colour Haze e gli svizzeri Monkey 3. Band sostanzialmente votata ad un piacevole progressive condito con psychedelia che andremo ad analizzare nella loro ultima espressione del 2010, vale a dire l'album 'Legacy'.
Il platter consta di sette brani di cui 3 che superano i dieci minuti. Si parte con 'Requiem (for a Dying Creed)' che apre con andamento tipico da jam progressiva/psichedelica. Chitarre e tastiera doppiano il tema portante che offre la possibilità alla voce di Steve Houtmeyers di poter confermare le prime impressioni psicoprogressive. Diversi stacchi sottolineati dalle tastiere addolciscono il brano fino ad un solo di chitarra che a sua volta porta ad un cambio tempo/atmosfera ancora più rilassata con arpeggi e linee di flauto a la King Crimson. Intervengono quindi delle voci di sottofondo ed ancora un sax di crimsoniana memoria (così come l'accompagnamento di batteria). Siamo così giunti al minuto 8:00 senza particolare fatica. Non particolarmente felici i soli di chitarra leggermente incerti nei passaggi più distorti. La song ritorna sul tema principale, non brutto, ma mai eccessivamente coinvolgente o sopra le righe. Il basso e le tastiere hanno sempre un sapore vintage che dopo il minuto 12 accompagnano un bel lavoro di voci, caldo e rilassante. Il pezzo corre così tra soli di chitarra e sottolineature di synth vari fino alla fine del pezzo.
'An Aerial Architect' potrebbe essere un bel pezzo dei King Crimson in tutto e per tutto. Provare per credere. Bella la parte centrale con venature space dove la solita chitarra, questa volta con un suon più tondo, descrive soli e temi rilassanti e piacevoli con arrangiamento ora più rock ora più progressive. Il beat ed il mood dei due pezzi rimane quasi identico. 'My Journey to the Stars' inizia non discostandosi dal feel appena ascoltato. Accordi diminuiti funzionano da bridge per atmosfere più liquide, piacevole la voce ma la sostanza non cambia, anche con una interessante chiusura space, i King Crimson sono sempre dietro l'angolo...'The Sad Destiny we lament' non dovrebbe rendere difficile la comprensione del feel al lettore e all'ascoltatore. Soffici atmosfere Moog percorrono il tempo di una chitarra acustica su un 6/8 che 'rallenta' ancora di più la sensazione del pezzo. Un costante colore grigio e dimesso, con corredo di synth a tappeto, trascinano la song in territori morfinoidi. 'The Empty Hourglass' rinnova il ritmo del cd ma non offre sostanzialmente una nuova sensazione, un nuovo feel. Anzi, alcuni passaggi di chitarra sembrano identici ad altri già ascoltati nei brani precedenti, anche perché i King Crimson insistono prepotentemente col risultato di ripetere stilemi stantii già al quinto pezzo. 'Jerusalem', stranamante, inizia piacevolmente con un incedere maggiormente pacato e psichedelico. Nella seconda metà, invece il pezzo s'accende con chitarre rock e sax 'storto' e sofferto, sino ad un pre-finale crimsoniano che ci aspettavamo... The Great Work' chiude l'album con i suoi quasi 19 minuti a coronamento di un album dai toni molto pacati, spesso prolisso e non certo dotato di personalità. Quest'ultimo pezzo forse è il migliore per il risultato finale, anche se il marchio è quello che corre dall'inizio. Forse, tenendo quest'ultimo e variando alcuni dei pezzi che precedono l'album ne avrebbe guadagnato in personalità. Il mood del platter è quasi sempre identico a se stesso, l'esecuzione non è sempre impeccabile e la scelta degli arrangiamenti è troppo sentita. Album non deprecabile, ma poggia su stilemi e costrutti che hanno fatto la fortuna di altri.
The Hypnos 69 are a band from Diest in Belgium. Active since 1994 have released five albums and several EPs and a pair of split with the German Coloue haze and the Swiss Monkey 3. Band basically voted to a nice progressive seasoned with psychedelia that we analyze in their last expression of 2010, that is the album named 'Legacy'. The platter consists of seven tracks including 3 that exceed ten minutes.
It starts with 'Requiem (For A Dying Creed)' which opens with a typical pattern of a progressive-psychedelic jam. Guitars and keyboards rounding the main theme that offers the opportunity to Steve Houtmeyers's voice to confirm the first psychoprogresive impressions. Several breaks underlined by keyboards soften the song up to a guitar solo, which in turn leads to a time change/atmosphere more relaxed lines with arpeggios and flute lines a la King Crimson.Then background spoken vocals step in and even a sax of crimsony memory (as well as the accompaniment of the drums). This brings us to 8:00 minutes without particular effort. Guitar solos are not particularly lucky, just slightly uncertain in most distorted passages. The song returns to the main theme, not bad, but never overly exciting or over the top. The bass and keyboards have always a vintage flavour that after 12 minutes attend a nice job of voices, warm and relaxing. So the piece runs among guitar solos and synth licks that all emphase up to the end of the piece.
'An Aerial Architect' could be a nice piece of King Crimson in every way. The proof of the pudding is in the eating. Nice is the central part with space flavour where the usual guitar, this time with a more round sound, describes solos and themes by a relaxing and pleasant arrangement, now more rock now more progressive. The beat and the mood of the two pieces is almost identical. 'My Journey to the Stars' begins not unlike the feel just heard. Diminished chords act as a bridge work to most liquid atmosphere, pleasant is the voice but the substance does not change, even with an interesting space ending, the King Crimson is always around the corner ... 'The Sad Destiny we Lament' should not make it difficult to understand the feel of the reader and the listener. Soft Moog atmospheres travel the strumming of an acoustic guitar on a 6/8 that 'slows' even more the feeling of the piece. A constant gray and discharged, accompanied by synth sweep, drag the song into morphined territories. 'The Empty Hourglass' renews the rhythm of the CD but substantially does not offer a new sensation, a new feel. Indeed, certain passages of guitar seem identical to others already heard in previous tracks, also because King Crimson insist forcefully with the result of repeating stale styles already at the fifth piece. 'Jerusalem', weirdly, nicely begins with a beat much more calm and psychedelic. In the second half it turns with rock guitars and twisted and suffered sax up to a crimsony pre-final we expected ... 'The Great Work'closes the album with its almost 19 minutes as fulfilment of a very placid album, often verbose and surely not having an its own personality . This last song is perhaps the best, even if the mark is one that runs from the beginning. May be taking this last one and changing some of the pieces before the album would have earned in personality. The mood of the platter is almost always identical to itself, the performance is not always impeccable and the choice of arrangements is too much heard yet. Albums not deplorable, but based on stylistic elements and constructs that have made the fortune of others.
Tracklist
1. Requiem (for a Dying Creed) 17:51
I - Within This Spell
II- Visions / Within This Spell (Reprise)
III - A Requiem for You
2. An Aerial Architect 06:47
3. My Journey to the Stars 06:53
4. The Sad Destiny We Lament 04:57
5. The Empty Hourglass 10:48
6. Jerusalem 06:52
7. The Great Work 18:27
I - Nigredo
II - Albedo
III - Citrinitas
IV - Rubedo
Void Generator - Phantom Hell and Soar Angelic (2010)
Phonosphera (ph01)
Già che ci sono, mi cimento in altra recensione di un altro gruppo italiano che, a mio avviso, merita il massimo rispetto. Dopo un paio di uscite discografiche autoprodotte dal sapore stoner/psych/space, i romani Void Generator la combinano grossa...Phantom Hell and Soar Angelic è un platter complesso, variegato, inusuale, non facile da descrivere. Per avere un'idea più articolata del cd in questione, forse sarebbe utile andare a leggersi anche le numerose recensioni uscite praticamente in mezzo mondo. Il cd consta di quattro pezzi, di cui, tre 'regolari' più una ghost track dal titolo ignoto (il mio car stereo legge la traccia 4 come 'Retinoic Dust'). Quattro suite dal sapore differente ma tenute insieme da una solida base space che unsice le varie anime - rock, stoner, psichedelic, prog - dei pezzi. Salta subito all'occhio, ed orecchio, la durata non usuale delle song, mai sotto i 13 minuti. Due le cose: o i VG sono 4 pazzi oppure 4 che sanno il fatto loro (oppure entrambi...!). Classica formazione con chitarra, basso, batteria e tastiera ai quali va aggiunto un fantomatico Bob the Rich accreditato come spiritual guidance,' Sinclair docet... La registrazione dei quattro pezzi è sicuramente migliore della media dei dischi che non siano prodotti da una major, un plauso quindi anche alla neonata etichetta Phonosphera che li produce. Si inizia con Message From the Galactic Federation che apre con un riff in 13/8 che ti splovera la faccia...qualcuno lo chiamerebbe intro stoner, ma non è così, ben presto le aperture delle chitarre e le tastiere virano verso un sentiero più prog e - a tratti - post metal. Un mix che non ritrovo da altre parti. In tre minuti già corrono una serie di sensazioni difficili da collocare stilisticamente. Il riff iniziale/centrale, che si ripete quale preparazione dei vari cambi, sfocia in un break di voce che culmina in un fade out dal sapore space. In quattro minuti una canzone rock è finita. Macché...un nuovo bridge ci conduce in territori quasi post metal conditi space. Altre due strofe di cantato si alternano al giro principale, poi ancora il bridge post metal che stavolta apre verso un tappeto di chitarre e tastiera che costituisce la parte centrale (!) del pezzo, melanconico e terribilmente 'sentito', voce e pathos dominano in quest'area. La genialità del pezzo si nota poi nell'uscita dalla parte centrale che riprende la zona post metal precedente...e siamo al minuto 8:00. Si ricomincia quasi come da capo in 13/8, con variazioni e bridge che precedono altre due strofe di voce. Poi un break dal quale si staglia un nuovo riff rotondo, disparo e ossessivo dalla tonalità minore, con le chitarre sfalzate tra i due canali. Il basso contrappunta la melodia, la batteria corre sul tempo ed il pezzo sfuma in una catastrofe di effetti ciclici che ti lasciano un senso di vuoto...Void Generator, appunto. Il secondo brano, The Morning, è invece una semplice composizione dal sapore psichedelico, molto istintiva rispetto al precedente brano. Apre una chitarra che tiene un groove ritmicamente scandito, identico fino alla fine del pezzo (una sorta di follia a la Moondog). La voce ci racconta dolcemente di storie andate mentre la batteria pulsa come da manuale. Dopo un paio di strofe di cantato la canzone cresce leggermente di intensità, ma non troppo. Dopodiché la canzone affonda letteralmente in una parte centrale silenziosissima, a metà strada tra una composizione post rock ed una riflessione tipica dei Motorpsycho seconda maniera. Di nuovo la chitarra annuncia l'arrivo della voce che adesso è più presente, gioca con i soliti tre (3) accordi e lo shaker della batteria annuncia nuove sensazioni rinvigorendo il beat. Col passare delle strofe la canzone cresce fino a che le chitarre e la tastiera intasano l'headroom del segnale...prima della parte finale un ritornello straziante della voce ci trascina in un vortice psichedelico drogato, trasognato e languido sorretto dalle chitarre sovraincise e dalla tastiera che muore con un finale catatonico. Melodie in sottofondo si intrecciano fino alla fine delle cose. Il pianissimo finale della tastiera ci lascia la sensazione della quiete dopo la tempesta...e siamo solo a metà disco! Il sapore grigio del vuoto che ci ha rubato il pensiero poc'anzi, viene interrotto dall'incedere quasi inaspettato del terzo pezzo, 'The Eternaut'. Il pulsare ripetuto e prolungato di un basso medioso ci riporta alla realtà con un groove lento e rilassato in grado di far 'rifiatare' le orecchie e allo stesso tempo ci mette in allerta. Il groove si basa solo su due accordi uno risolutivo e uno tensivo. Dopo un paio di minuti irrompe uno stacco dall'accento disparo che immette immediatamente in un maledetto riff a la Monster Magnet. Poi entra la voce che si distende per un paio di giri con incastri da brividi. E' il momento di una sorta di ritornello col basso pulsante e voce che insiste sul titolo della song. Un bridge 'rallenta' l'atmosfera fino ad uno stacco che riporta agli accordi iniziali dove la tastiera si libera in un solo ipnotico, e moderatamente 'storto', sorretto alla grande dalla sezione ritmica dei VG. Una sorta di prog evoluto. Poi ancora il bridge melanconico interrotto da una serie di obbligati dispari, una sospensione senza tempo, rubata e quindi via col riff dei Mostri Magnetici. Ma qui la voce raddoppia armonizzata una terza sopra ed il brano 'spinge' ancora di più, se possibile. A questo punto il ritornello raddoppia la durata, la tastiera descrive melodie a note lunghe, la batteria doppia il tempo ed il pezzo cade in un solo di chitarra che non saprei come descrivere. Un fiume di note suonate su uno space echo che è tutto feel. A tratti sembra Ollie Halsall dei Patto, a volte Page a volte...non lo so! La cosa certa è che, mentre gli accordi-base si fermano e vengono suonati solo gli accenti che vengono lasciati liberi per una completa fruizione di tutta la distorsione (con un basso mostruoso) la chitarra continua il solo schizofrenico, la tastiera contrappunta con suoni volutamente vintage e un vortice di effetti space ci conducono verso qualcosa a metà strada tra la disperazione e l'ipnosi indotta. Non assumete droghe durante l'ascolto, vi prego. Come se tutto ciò non bastasse i VG ci propongono la ghost track dalla durata di quasi 24 min... mentre il vortice dello space echo di Eternaur ci lascia attoniti, piccoli movimenti sonori fuoriescono dall'agognato silenzio che anticipa la quarta ed ultima traccia. Chitarre lo-fi ripetute a loop con sottili giochi di delay ad incastro ricordano rumori embrionali tenuti ad un filo di volume. Ad un certo punto però la song esplode d'improvviso, tutti gli strumenti urlano gli accordi arpeggiati della chitarra sostenuti da un Oberheim e da un solo di chitarra che rimanda ad un Gilmour molto incazzato. Un incedere lento del pezzo che - a tratti - ricorda la consecutio dei Warning di 'Watching From a Distance'. Intanto un nuovo solo di chitarra si sovrappone al primo giocando con gli accordi lunghi...e cadenzati che hanno l'effetto di attirare l'attenzione in modo irreale dalla quale è quasi impossibile sfuggire. Poi irrompe una sorta di 'solo centrale' di chitarra, più 'avanti' rispetto agli altri (che ancora risuonano) assumendo la veste di un vero e proprio tema quasi metal, pentatonale, nervoso, rubato e lirico allo stesso tempo. Al termine di questo straziante solo entra la voce dal sapore quasi doom intervallata da frasi di chitarra dal suono metallico. Al termine delle quattro strofe una serie di soli di chitarra si sovrappongono a destra e sinistra con accompagnamento di effetti di varia natura. Un caos sonico ordinato incredibile, seguito da altre strofe di cantato, fino a che la componente space della band prende il sopravvento, suoni analogici e digitali pervadono il tutto sino all'incedere di una tastiera subacquea che descrive una melodia lunga e triste a perfetta chiusura del deliro che la precede. Silenzio.
La fine.
Manco per niente.
Una chitarra dal volume bassissimo descrive melodie doom slabbrate, rimbalzate dallo space echo ci avverte che forse la fine non arriverà mai...
Mi permetto di aggiungere una recensione di questo disco scritta da un anonimo ascoltatore e presa dal web, dopodiché, lascio a voi il giudizio.
"Un disco che stupisce veramente dall’inizio alla fine, senza cercare etichette, periodi o gruppi di riferimento che metterebbero un limite a questo materiale lavico che trabocca continuamente. E’ chiaro che all’interno del cocktail preparato dalle sapienti menti e mani dei Void Generator si intravedono ingredienti che separatamente possano far pensare ad alcuni gruppi storici, ma qui siamo di fronte ad una originalità di proposte che tra l’altro non si sposa bene con le nostre latitudini e forse anche latinitudini… La variopinta gamma di suoni e colori è già presente sulla prima notevolissima traccia (Message From The Galactic Federation) che ha un andamento tirato spiraliforme, con iterazioni ipnotiche che trasportano in luoghi interiori prima che galattici. The Morning invece ha all’inizio un sapore tardi anni ’80-primi ’90 ma con l’evolversi del brano entriamo in piena atmosfera odierna o no-time, con un finale liquido inscritto da una tastiera che porta con sé la luce di albe e mattini dei primi anni ’70. The Eternaut è un viaggio siderale intenso negli ambienti che a me ricordano i grandi disegnatori che costituivano la rivista che, curiosamente, aveva lo stesso nome del brano in questione. Il basso pulsante, la possente batteria, la funambolica chitarra e le ammalianti tastiere rapiscono l’ascoltatore che ritrova se stesso alla guida del mezzo. La ghost-track parte da un panorama introspettivo per decollare in modo improvviso verso destinazioni acid-rock con una chitarra vorticosa che porta alla fine ad approdare a una nuova destinazione sonora che tuttavia presenta una certa specularità con la sua base di partenza, come fosse lo svolgimento di un sogno prima di un nuovo mattino… Last but not least…la durata dei brani fuori dalle strette maglie del formato-song non fa sfiorare mai il dubbio che si tratti di una autoindulgenza, ma è in perfetta sintonia con la concezione di “viaggio psichico” e rivela nel suo svolgersi l’accurato e raffinato lavoro di cesellamento che è dietro la realizzazione di questo cd suonato con grande perizia ma senza perdere in estro e che continuerà a far parte dei miei ascolti per ancora molto tempo… Manna và’!"
Since I am, I'll try with another review of another italian group that, in my opinion, deserves the utmost respect. After a couple of self-produced works as stoner / psych / space flavor, the romans Void Generator get it really big...Phantom Hell and Soar Angelic is a complex platter, varied, unusual, not easy to describe. To obtain a more articulate idea of the CD, may be it would be useful to go out on the web and read many reviews out almost half the world. The CD consists of four pieces, of which three 'regular' and a untitled ghost track (my car stereo reads as track 4 'Retinoic Dust'). Four suites of different flavor but held together by a solid space base combining the various souls - rock, stoner, psychedelic, prog - of the songs. Skip to the eye, (and ear), the unusual duration of the songs, never under 13 minutes. Two things: either the VG are 4 crazy guys or 4 that know their stuff (or both ...!) Classical line-up with guitar, bass, drums and keyboards which must be added a mysterious Bob the Rich credited as spiritual guidance, Sinclair docet ... The recording of the four pieces is certainly better than the average of the releases haven't been produced a major, therefore, an aproval to the new label Phonosphera. It starts with Message From the Galactic Federation that opens with a riff in 13/8 that dust off your face. Some calls this stoner intro, but it isn't , very soon the openings of the guitars and keyboards veering towards a more progressive path and - sometimes - post metal. A mix that I cannot find elsewhere. In three minutes already runs a series of feelings difficult to place stylistically. The starting/central riff, which is repeated as the preparation of various changes, flows into a break of voice ending in a space flavoured fade-out. Within four minutes a rock song is over. Not at all. A new bridge will lead us into quasi post-metal territories space seasoned. Two more verses of voice switch to the main riff then, a post metal bridge again that this time opens onto a carpet made by guitar and keyboard that we have to consider as the central part (!) of the song, melancholy, with a terrible 'feel', voice and drama dominate this area of the song. You can notice the genius of the piece at the output of the central area that resume the previous post-metal area...and we only are at 8:00. It starts again nearky like the beginning with a 13/8 beat with variations and bridge that come before two more voice verses. Then a break from wich stands out a new round, odd and obsessive riff in a minor key with unbalanced and echoed guitars. The bass giutar counterpoints the melody, the drums runs on time and the piece fades into a catastrophe of cyclical effects that give you a sense of void...just a Void Generator. The second song, The Morning, is a rather simple psichedelic falvored composition, very instinctive than the first track. A guitar opens holding a groove rhytmically identic up to the end of the piece (a sort of Moondog madness). The voice sweetly tells gone stories while drums pulses by the book. After a couple of sung verses the song slightly increase in intensitiy, not so much though. After that, the song literally sinking in a very quiet central part, halfaw between a post-rock composition and a typical reflextion of a second way Motorpsycho. Again the guitar heralds the arrive of the voice, now more present, plays with the usual three chords (3) and the drum shaker announcing new feelings invigorating the strenght of the beat. Over the verses, the song grows until the guitars and keyboard clog the headroom of the signal...just before of the final part a heartbreaking voice chorus drag us into a stoned psychedelic vortex, dreamy and languid supported by the overdubbed guitars and a keyboard dying in a catatonic final. Background melodies intertwine til the end of the things. The pianissimo final of the keyboard give us the feeling of the calm after the storm...and we're only at half cd ! The gray flavor of the void that raped our mind above, is interrupted by the solemn gait almost unexpected of the third piece, 'The Eternaut'. The repeated and prolonged pulsing of a muddy bass lead us back to the reality with a slow and soothing groove that is able to give a rest to our ears and, at the same time, set us on alert. The groove is just based on a couple of chords, one resolving and the other tensive. After a minute or two an odd accent break burst in that immediately introducing a damn riff a la Monster Magnet. Then comes the voice that strstches for a couple of laps with creepy plots. Now's the moment of a sort of chorus having a pulsating bass and the voice that urges on the title of the song. A bridge slows down the atmosphere up to a cut bringing back to the starting chords where the keyboard set an hypnotic, and moderately twisted, solo greatly supported by the rhythm section of the VG. A sort of evoluted prog. Then again the melancholy bridge interrupted by a series of odd compulsories, a timeless suspension, almost free, then again with the Monster Magnet's riff. But here the voice doubles, harmonized a diatonic third above and the song 'pushes' more and more, if possible. At this point the chorus doubles the duration, the keyboard describes melodies using long notes, the drum doubles the beat and the song falls into a guitar solo that would not know how to describe. A stream of notes played with a space echo that is all 'feel'. At times it seems Ollie Halsall from Patto, at times Page, at times...I don't know! What is certain is that, while the basis chords stops and the VG play only the accents that are left free for full enjoyment of the whole distortion (with a monstrous bass), the guitar keeps on playing the schizophrenic solo the keyboard counterpoints with deliberately vintage sounds and a vortex of spacey effetcs lead us to something midway between despair and induced hypnosis. Do not use drugs while listening, please.
As if this were not enough the VG offer us a ghost track of about 24 minutes while the vortex of the space echo of The Eternaut leaves us speechless, tiny sound movements escape from the craved silence that anticipates the last fourth track. Lo-fi guitar loop repeated with tiny games of interlocking delay recall embryonic noises kept to a wire volume. At some point, however, the song suddenly explodes and all the instruments screaming the arpeggiated chords of the guitar supported by an Oberheim and by a guitar solo that leads to a very pissed Gilmour. A slow gait of the song - at times - remember the style of Warning (Watching From a Distance). Meanwhile, a new guitar solo overlaps the first playing with the long chords and measured that give the effect of drawing attention so unreal, from which escape is almost impossible. Then it breaks into a sort of guitar 'central solo' , a bit louder than the others (that still resonate) taking the form of a real tema almost metal, pentatonic, nervous, rubato and lyrical at the same time. After this heartbreaking solo comes in a doomish vocals interspersed with metallic guitar phrases. After a series of four verses a series of guitar solos overlap right and left, with effects of various kinds. An incredible and ordered sonic chaos, followed by other sung verses, when the space component of the band takes over, analog and digital sounds pervade all until a underwater keyboard gait describing a long and sad melody as a perfect closure the delirium that precedes it. Silence.
The End.
Not at all. A low volume guitar describes chipped doom and space echoed melodies, warns us that perhaps will never end ...
Tracklist
1. Message From the Galactic Federation 15:14 2. The Morning 13:02 3. The Eternaut 18:10 4. (Ghost Track) 23:42
Gli italiani Insider meritano un posto d'onore tra le formazioni del bel paese, soprattutto in funzione del presente 'Simple Water Drops' del 2005. Sinceramente, dopo aver ascoltato i precedenti lavori, non li ritenevo capaci di tanto. Innanzi tutto - occorre ripetere - questo disco NON ha nulla a che vedere con lo stoner, piaccia o no, questo cd (molto bello) non è stoner…Otto brani che nuotano in un mare sempre vintage. Non v’è particolare perizia tecnica, ma i ragazzi in questione sanno scrivere canzoni. Pertanto, vanno dritti al top. Il brano d’apertura, a mio avviso, è il più coinvolgente, e se tutti gli altri fossero stati allo stesso livello sto disco avrebbe fatto piangere parecchia gente…Chitarre con fuzz non esasperato descrivono i magici riff di Simple Water Drops, metal, Sabbath style. Ma il segreto risiede nella batteria e nella voce. La prima NON suona MAI in maniera ovvia, questo conferisce a tutti i pezzi qualcosa di originale. La voce gutturale e quasi monocorde diviene irrimediabilmente riconoscibile, per questo più che apprezzabile. Il lavoro delle tastiere contribuisce non poco ad una atmosfera doom dal vago sapore garage (!) I trilli della chitarra ed il suono nasale (un wha ed un fuzz d’epoca, presumo) completano l’opera, veramente rimarchevole. Io ancora devo stancarmi di ascoltare questo pezzo…Quando ascolterete ‘Hollow’ non preoccupatevi, non sono i Black Sabbath, sono gli Insider nella loro versione più doom. L’intermezzo di tastiera mi rimanda maledettamente a qualcosa che non riesco a ricordare…aiutatemi ! ‘The Silver Book’ continua ed espande il discorso iniziato con ‘Hollow’ aggiungendovi un tocco space ed un sapore orientaleggiante. ‘I Remember’: apertura doom e basso con echo e wha, chitarra con phaser, accordi lunghi, voce tremula, accenti catastroficamente evidenziati dal batterista. Lunghi temi di chitarra mediosa e nasale corrono tra un accordo e l’altro. Poco dopo la metà del pezzo la velocità raddoppia e la chitarra lavora sul nuovo groove parafrasando tutti i pezzi ascoltati sin’ora con l’ausilio di una voce filtrata mai banale…ancora temi orientali, chitarra con wha, suoni space. Il pezzo chiude rilassandosi…aahh…Neanche il tempo di tirare il fiato ed un riff di chitarra (I Belong to the Morning Light) ricomincia a picchiare. Altri non è se non un blues mascherato dal feel doom. Evidente il I-IV-V (mi si passi la digressione tecnica…). Dopo quattro minuti la tensione scende e la chitarra si produce in una serie di soli/temi che, pur se non perfetti tecnicamente, rendono bene il senso. (Ri)Ascoltate ‘When the Leeve Breaks’ e ci capiremo sicuramente. Terza maggiore per la chitarra in chiusura (blues docet). Forse l’ultima parte del cd, ‘Remorseful Time’ ,diviene un pochino più ovvia, ma mai brutta, una vaga, dico VAGA sembianza stoner con ’Latest News from the Satellite’ non è al livello dei precedenti pezzi…ma Page è sempre dietro l’angolo…’The Equilibrist’ chiude il platter sempre sulla falsariga di qualità dell’ultimo pezzo. In definitiva, un ottimo cd, molta personalità nell’80% dei pezzi. Finalmente un disco di un gruppo italiano fatto come C. comanda. Certamente migliorabile da un punto di vista strettamente tecnico, ma provate voi a fare un disco con queste canzoni…
The Italians Insider deserve a place of honor among the formations of the 'bel paese', particularly in the light of this 'Simple Water Drops' of 2005. Sincerely, after listening to the earlier work, I didn't believe them capable of so much. First and foremost - must be repeated - this disc has nothing to do with the stoner, like it or not, this CD (very good) is not stoner ... Eight songs that swim in a sea always vintage. There is no particular technical skill, but the guys can write songs. Therefore, go straight to the top. The opening song, in my opinion, is the most exciting, and if all the others were at the same level They would drive many people to tears. Non-Exasperated fuzz guitars describe the magical riffs of Simple Water Drops, metal, Sabbath style. But the secret lies in drums and vocals. The first NEVER EVER sounds obvious, and it gives all the pieces something original. The guttural voice almost monochord becomes irreparably recognizable for this more than appreciable. The keyboards work contributes greatly to an atmosphere of doom, vaguely garage (!) The trills of guitar and nasal twang (a wha and a fuzz vintage, I presume) complete the work, truly remarkable. I still have to get tired of listening to this ... When you hear 'Hollow' do not worry, they aren't the Black Sabbath, they are Insider in their more doom version. Get a feedback from the the interval of the keyboard that ...damn...I see something that I can't remember... help me! 'The Silver Book' continues and expands the discourse started with 'Hollow' adding a space touch and an oriental flavor. 'I Remember': doom overture and bass with echo and wah, phased guitar, long chords, quavering voice, accents catastrophically highlighted by the drummer. Long and nasal guitar themes run among the chords.Shortly after the middle of the song the speed is doubled and the guitar work on the new groove paraphrasing all the pieces heard up to helped by a voice filtered yet never boring... Oriental themes, with wah guitar, sound space. The song ends with a relaxing fade out... aahh ... No time to breathe a while and a guitar riff (I Belong to The Morning Light) begins to beat. Nothing more that a masked blues with a doom dress. Clear is the I-IV-V (if I may digress on a technical matter...). After four minutes the tension drops and the guitar plays several solos/riffs that, while not technically perfect, make a good sense. (Re) Listen to 'When the Levee Breaks' and we certainly understand. A major third of the guitar for closing the song (blues docet). Perhaps the last part of the cd 'Remorseful Time' becomes a little more obvious, but never ugly, a vague, say VAGUE stoner semblance with 'Latest News from the Satellite' is not at the level of previous pieces ... but Page is always around the corner ... 'The Equlibrist' closes the platter at the same quality level of the last piece. Ultimately, a great cd, so much personality at 80% of the songs. Finally a disc made by an Italian group as J.C. rules. Surely improvable under a strictly technical point of view, but...you try to make a record with these songs ...
Tracklist
1. Simple Water Drops 2. Hollow 3. The Silver Book 4. I Remember 5. I Belong to the Morning Light 6. Remorseful Time 7. Latest News from the Satellite 8. The Equilibrist
Gli americani Starchild pubblicano il loro secondo lavoro nel 2006 per la Twin Earth Records ed hanno di che rallegrarsene in quanto il presente 'Born Into Eternity' ci consegna un platter sicuramente migliore dell'esordio omonimo del 2003. Mi preme evidenziare immediatamente che - purtroppo - ad oggi, ancora non sia stato dato un seguito a Born Into Eternity perché il margine e le potenzialità per migliorare ancora ci sono tutte. Il disco viaggia sostanzialmente nei territori doom ma con caratteristiche uniche che lo rendono sicuramente appetibile. Oggigiorno, troppo spesso vengono affibbiate etichette 'stoner' ad una pletora di gruppi che poco hanno a che vedere col citato stile. Gli Starchild sono uno di questi. Suonano doom e basta, e suonano doom con una buona dose di personalità, che è invece il principale elemento carente in quasi tutte le produzioni moderne, indipendentemente dallo stile. Il mood che accompagna l'intera release nasce dall'incontro dell'incedere classico del doom, quale la lentezza metronomica dei brani con alcune particolarità che andremo ad analizzare immediatamente. La chitarra risulta 'grande' e non distortissima e mai troppo compressa e - soprattutto - condita incessantemente da un effetto di modulazione (chorus) che tende ad ingrandire il suono (ed allo stesso tempo ad addolcirlo). Posta in una spaziatura stereo piuttosto evidente, tesa ad ottenere un suono più grosso, descrive riff classici e godibili che costituiscono, insieme alla voce perfettamente lamentosa, la colonna portante del cd. La batteria ha invece un curioso suono quasi anni '80, col rullante grande, a fusti lunghi (che ho sempre odiato in gioventù...) il quale conferisce tuttavia una caratteristica particolare al disco in questione. Il basso è volutamente presente e, bisogna dirlo, si produce in un paio di errori sicuramente rimediabili in sede di editing la cui correzione avrebbe addolcito sicuramente il giudizio dell'orecchio più esperto. Il disco presenta dei pezzi acustici che non possono non rimandare ai primissimi Black Sabbath, sempre piacevoli e sui quali avrei indugiato ancora. I soli di chitarra, benché non corrano mai sopra le righe in quanto a fattura ed emozionalità, non sono mai ridondanti o fine a se stessi, come avviene purtroppo nel 90% dei casi odierni. Un disco dove è la canzone a far da padrone, dove la voce regala spunti melodici da non sottovalutare. Bello il primo brano (Bride) condotto da un riff intelligente e godibile, 'Rising Star' ci regala arpeggi di chitarra in stile doom, così il terzo pezzo, 'Love', arricchito da piacevoli fraseggi doom. 'World Without End' potrebbe benissimo essere una ballad acustica dei Sabbath, un piccolo intermezzo di un minuto...'Earthless' ricorda vagamente i Warning di 'Watching From a Distance', e non è poco. 'Bleed' apre con un ritmo in 6/8 che contribusce e sottolineare la lentezza del doom, si sviluppa poi in un giro ossessivo che permette alla voce di tessere le solite buone melodie. Ancora Black Sabbath con 'Eternal Summer', quindi la rilassante e vagamente psichedelica 'Behold' che lascia il passo alla traccia omonima Born Into Eternity per sette minuti di psychodoom di tutto rispetto. Migliorabile, ma sicuramente un buon album !
Americans Starchild released their second job in 2006 for the Twin Earth Records and, as such, have to be happy because this 'Born Into Eternity' certainly gives us a platter much better than therir previous eponimus from 2003. Immediately we say that we regret that, still has not been followed up further in Born Into Eternity, so far, because the margin and the potential for further improvement are all there. The disc travels substantially in doom territories, but with unique features that make certainly desirable. Today, too often saddled with labels 'stoner' with a plethora of groups with little have to do with the aforementioned style. Starchild are one among these. They just play doom, and do that with a good dose of personality, which is the main element lacking in nearly all modern productions,regardless of the style. The mood that leads the entire release comes from the mix of a classic gait of the doom, as the slowness of the metronome of the songs and some peculiarities that we analyze immediately. The guitar is 'big' but never too much overdrived, never too compressed and - above all - incessantly modulation effect (chorus) seasoned that tends to magnify the sound (and at the same time to sweeten). Placed in a stereo space, rather noticeable, aiming to get a bigger sound, and describes classic riffs that are enjoyable, with the perfectly plaintive voice, the backbone of the CD. Drums have a rather strange sound almost 80 years styled, with big snare and long stems (I always disliked in my youth ...) but that gives a particular feature the disk in question. The bass guitar is deliberately present and, I must say, it produces a couple of mistakes certainly remediable in the editing which would have certainly fixed and softened the assessment of the expert ear. The disc has some accoustic pieces that can not defer to the early Black Sabbath, always pleasant and on which I still would have lingered. Guitar solos never run over the top in terms of invoice and emotional are never are redundant or an end in themselves, as unfortunately happens in 90% of cases today. An album where the song is the master, which gives the melodic voice to be reckoned with. Very nice the first song (Bride) leaded by a clever riffs and enjoyable, 'Rising Star' gives us guitar arpeggios as doom style, so the third piece, 'Love', enriched by beautiful doom licks. 'World Without End' could well be an acoustic ballad of Sabbath, a small interval of a minute ...'Earthless' vaguely reminiscent of the Warnings of 'Watching From A Distance', and is no small matter. 'Bleed' opens with a rhythm in 6/8 contributes and emphasizes the slowness of doom, eventually develops into an obsessive riff that allows the voice to build the usual good lines. Again Black Sabbath with 'Eternal Summer', then the relaxing and vaguely psychedelic 'Behold' that gives way to the title track 'Born Into Eternity' for seven minutes of respectable psychodoom. Improvable, but definitely a good album!
Tracklist
1. Bride 4:05 2. Rising Star 4:33 3. Love 3:32 4. World Without End 1:04 5. Earthless 5:30 6. Will You 1:42 7. Bleed 4:00 8. Eternal Summer 4:04 9. Behold 4:50 10. Born into Eternity 7:00
L'ultimo lavoro degli svedesi retro merita una attenzione particolare. Innanzi tutto è costruito come un concept, i pezzi scivolano l'uno dentro l'altro come fossero ciascuno la conseguenza del precedente. 'We are Them' apre il cd, diviso in lato A e lato B, ed immediatamente vegono alla mente le digressioni acustiche dell'album di esordio dei Black Sabbath, poi nel pezzo irrompe un organo alla Jon Lord quasi impazzito col preciso intento di introdurre una tensione che spezza perentoriamente un precedente mood fluido in '3'. Le chitarre iniziano poi le loro parti, rock e poi di nuovo soft ballad. La voce in questo pezzo è molto migliore del precedente lavoro. L'elemento generale che differenzia 'Different Realities' dai lavori precedenti, e per questo risulta maggiormente apprezzabile, è un più evidente sforzo compositivo dei Siena Root. Un mandolino compare nella seconda traccia, calma accompagnata da un quasi-contrabbasso aiutato da una chitarra acustica quasi-mono, quasi western Leone styled, e non è affatto spiacevole...un organo fragoroso interrompe il pezzo ed introduce la terza traccia dove un solo di chitarra ci riporta ad ambientazioni più prog, poi ancora più rock fino ai Led Zeppelin di Houses of the Holy...quando la canzone sembra aver esaurito le potenzialità, ecco che attraverso un passagio quasi-kraut, ritorna al mood zeppeliniano, ed ancora, nell'ordine, Uriah Heep, Deep Purple, Uriah Heep. Dopo un finale incisivo, la tastiera introduce 'As We Return' con soffici tappeti ed arpeggi spezzati da accenti tipici del prog. Il lato 'B' del cd apre con Bairagi e ci regala un incedere di chitarra e wha che rimanda ai suoni dei giapponesi Flower Travellin' Band con un leggero tocco doom. Un gran bel pezzo. nella successiva Bhairavi l'amosfera diventa indiana, tablas e sitar pulsano e si stemperano nella seguente Ahir Bhairav una ballata acustico psichedelica dal sapore orientale. Poi ancora stesso incedere con Bhimpalasi e Shree. Jog chiude il cd con ottimo mix tra riff rock e doppiature del tema del sitar che camminano adagiandosi su un groove tipico seventies. In definitiva, sempre fedeli al vintage e all'analogico, l'album più acustico dei Siena Root, ma anche più originale. Un primo vero sforzo di personalità comunque immersa in territori già percorsi numerosissime volte da illustri predecessori. Il migliore che abbia sentito sin'ora.
The latest work of retro Swedes deserves special attention. First is constructed as a concept, the pieces slide one inside the other as were all the result of the previous. 'We are Them' opens the CD, divided into side A and side B, and immediately come to mind the acoustic digressions of the debut album by Black Sabbath, then the piece breaks into an organ a la 'almost-mad Jon Lord' with the specific intent to introduce a tension that breaks the previous categorical fluid mood in '3'. The guitars then starting their parts, and then back to soft rock ballad. The voice in this piece is much better than previous work. The general feature that differentiates 'Different Realities' from previous works, and this is more commendable, is a more obvious effort compositional from Siena Root. A mandolin appears in the second track, calm accompanied by a quasi accoustic bass partly helped by an accoustic guitar quasi mono, almost Leone Western Styled, and is not at all unpleasant... a thunderous organ stops the piece and introduces the third track, where a guitar solo takes us back to more progressive environments, then further down to a Led Zeppelin Houses of the Holy rock... when the song seems to have exhausted the potential, here is that by a quasi-kraut lick, returns to a Zeppelin mood, and yet, in order, Uriah Heep, Deep Purple, Uriah Heep. After an incisive final, the keyboard introduces 'As We Return' with soft carpets and arpeggios broken by typical accents of the prog. The side 'B' of the CD opens with 'Bairagi' and gives us a pace and wah guitar sound that is reminiscent of the Japanese 'Flower Travellin 'Band' with a slight touch of doom. A great piece. In the next 'Bhairavi' the atmosphere becomes Indian and tablas and sitars throb and fade into the following 'Ahir Bhairav' an acoustic psychedelic ballad with an eastern flavor. Then again with the same gait 'Bhimpalasi' and 'Shree'. Jog closes the CD with excellent mix of rock riffs dubbed by the sitar walking and reclining on a typical seventies groove. In short, always faithful to vintage and analog, a more acoustic album from Siena Root, but also more original. A first real effort of personality still immersed in the territories it has already completed numerous times by illustrious predecessors. The best I've heard so far.
Track Listing
A We 1. We are Them 2. In the Desert 3. Over the Mountains 4. As We Return B The Road to Agartha 5. Bairagi 6. Bhairavi 7. Ahir Bhairav 8. Bhimpalasi 9. Shree 10. Jog